A cosa dovrebbe servire un orologio nel 2015?
Sicuramente a fare la sua funzione naturale: la misurazione del trascorrere del tempo. Fino ad oggi ci siamo limitati a fargli visualizzare l’ora nel modo più preciso possibile affidandoci a sofisticati movimenti di alta ingegneria meccanica o a meno sofisticati circuiti elettronici che scandivano il tempo mediante oscillazioni di un cristallo di quarzo.
Certo si potevano integrare altri tipi di misurazione temporali, come le fasi lunari e il cronometraggio del tempo; alcuni produttori si sono esibiti nell’incorporamento di bussole o sistemi di impermeabilizzazione e altre piccole ma limitate diavolerie per poter sfruttare maggiormente l’oggetto orologio.
Moda e lusso si sono imposti sotto stili diversi per poterci confezionare l’orologio ideale o giusto per ognuno di noi dandoci moltissime possibilità d’acquisto sia in termini di brand, che di prezzo, che di funzioni.
Ma adesso arrivano, anzi sono già arrivati, questi benedetti smartwatch o orologi intelligenti che ci dovrebbero servire nella nostra vita quotidiana.
Il punto è proprio questo: a cosa ci devono servire?
Intanto dividiamo in due la categoria: le smartband e gli smart watch; la differenza che subito salta all’occhio sono le dimensioni: i primi si presentano sotto forma di bracciali con o senza visore ed i secondi prendono la forma dei tradizionali orologi digitali; entrambi per funzionare devono potersi interfacciare e comunicare con il nostro smartphone (anche se compaiono dispositivi dotati di alloggio per una SIM per rimanere indipendenti dal cellulare), dato che senza questo apparecchio ausiliario avrebbero poco senso.
Ma si è arrivati allo smartwatch per gradi passando per le funzioni alternative che venivano adottate da questi nuovi apparecchi.
Si sono dotati di sensori e/o ricettori questi oggettini per rilevare alcune nostre funzioni biometriche come il battito cardiaco (cardiofrequenzimetri), la qualità del nostro sonno (comparando il tempo che dedichiamo al nostro riposo), i percorsi fatti a piedi (pedometri) e altre cose del genere. Ovviamente dal punto di vista elettromedicale certe misurazioni degli elementi incorporati nei dispositivi sono ben lontane dai ben più specializzati e tradizionali sensori dedicati. Il pensiero, per diretta esperienza, è riferito ai cardiofrequenzimetri dove in sensore posto in corrispondenza del cuore è sicuramente più attendibile di uno in prossimità del polso; ma tutto questo è servito per farci venire la voglia di qualcosa di nuovo, che i brand di successo ci hanno propinato come piattaforma per la nostra salute.
Un bel giorno, di non molti mesi fa, Apple ha fatto circolare al notizia che avrebbe prodotto un orologio intelligente che ha prodotto fermento tra i produttori di materiale elettronico di consumo tanto che c’é stata la corsa a chi arrivava per primo.
La storia narra che produttori come Samsung e Sony sono già alla terza versione dei propri prodotti dopo aver cambiato, nel caso di Samsung, addirittura piattaforma di sviluppo, passando da Android a Tizen, per i propri gingilli.
Ed intanto Apple aspettava che i consumatori decidessero cosa volessero fare e come si sarebbero orientati in futuro.
Imparava anche dagli errori dei competitor che proponevano articoli che potevano dialogare solo con certi tipi di smartphone: vero Samsung?
E probabilmente la colpa di possedere uno smartphone è alla base della necessità di avere uno smartwatch.
Ritorno in focus con il titolo del post facendo una riflessione sul come le persone oggi usano il proprio smartphone: ovvero per comunicare e relazionarsi; il moderno cellulare è alla base della nostra comunicazione tanto che lo si vede sempre a portata di mano delle persone, da quando viaggiano a quando vanno a mangiare a persino quando vanno a dormire.
E se lo smartwatch servisse proprio a distaccarsi dallo smartphone per tenere quest’ultimo non più a portata di mano ma più privatamente nel taschino della giacca o nella propria borsa, pronti a prenderlo in mano solo in caso di estrema necessità? Questi benedetti smart-watch infatti di base hanno tutti la peculiarità di notificare gli avvisi che lo smartphone riceve: telefonate, email, SMS, messaggi di WhatsApp e simili, ecc…
Nel nostro ambiente di iperconnessione con tutto e tutti forse ci si può liberare dall’ansia di dover prendere sempre in mano il cellulare per controllare e filtrare gli avvisi ricevuti.
Io lo vedo come lo strumento che potrebbe liberarci dalla schiavitù dell’uso eccessivo del cellulare.
